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Per Aspera Ad Veritatem n.21
Virtual States.

Jerry Everard - Routledge, London, 2000





Per i tipi della Routledge of London è stato pubblicato, nell'anno 2000, un interessante lavoro di Jerry Everard sul tema, di grande attualità, della globalizzazione, con particolare riferimento all'esaurirsi del ruolo dello Stato-nazione e agli aspetti di quella che l'Autore considera la nuova diseguaglianza tra coloro che hanno accesso all'informazione e coloro che tale accesso non hanno.
Nel volume, pubblicato nella collana "Technology and the global political economy", l'Autore propone un punto di vista personale dei processi in atto, che può essere o meno condiviso, ma che certamente costituisce un fertile terreno di confronto intellettuale. Non si tratta, infatti, solo del "digital divide" tra Stati ricchi e poveri, ma anche di un problema di uguaglianza all'interno degli Stati ricchi. L'idea, che in effetti non è nuova, ove solo si pensi a quello che hanno rappresentato i processi di alfabetizzazione, istruzione e cultura tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento nel nostro Paese, mira a costruire un sistema di confronto con tali ineguaglianze.
Secondo Everard, negli Stati-nazione di oggi convivono almeno due tipi di economie. Quella relativa ai beni e ai servizi, in termini di produzione e consumo, e quella che egli definisce suggestivamente "identity economy".
Mentre nel primo campo è immaginabile, secondo alcuni anzi necessario e auspicabile, una forte riduzione del ruolo statuale, nel secondo tipo di economia questo ruolo è sempre più intenso e rilevante, secondo un processo che mira a stabilire confini, a distinguere noi dagli altri, talvolta a provocare conflitti.
Se questo tema importante e complesso viene calato nella rivoluzione dell'information and communication technology, cioè in tutto ciò che di virtuale e senza confini (non di rado senza regole) va modificando la civiltà delle relazioni e tante altre cose, ci si rende conto di quanto la questione sia aperta e scottante.
Molte volte si è osservata la tendenza apparentemente schizofrenica di un processo che più globalizza più evidenzia differenze, tanto che molti nemici della globalizzazione politica o economica hanno sempre ritenuto fondamentalmente illusoria l'"ideologia" globalizzante.
Più in particolare, proprio gli eventi terroristici del settembre 2001, intervenuti in una lunga fase in cui diffusa era la sensazione della predominanza dell'economia nelle dinamiche di relazione tra i vari Paesi, a scapito dell'importanza degli Stati e dunque della politica, hanno naturalmente determinato la presa d'atto di come, in circostanze rapidamente modificatesi, il rapporto è invertito, con economia e scambi in crisi repentine e accelerate, totalmente dipendenti dalle decisioni politiche e dalle leadership degli Stati.
L'universo globalizzato dell'informazione riprodurrà stati virtuali specchio dello status quo, ovvero costituirà la leva di diminuzione delle disuguaglianze tra i popoli? Questa è probabilmente la sfida dei prossimi anni sulla quale, si condividano o no le sue opinioni, Everard ci invita a pensare.



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